I luoghi dell’identità e della memoria: i pagliai dell’Etna, monumenti rupestri dell’antica civiltà contadina in un reportage di Roberto Fichera.
Sono certamente delle foto interessanti, oltre che incantevoli nella lucentezza dei loro colori, quelle che recentemente ha scattato Roberto Fichera, nelle sue escursioni alle pendici dell’Etna, individuando alcune architetture rurali, tipiche del paesaggio siciliano, che ne determinano la sua identità: i pagliai in pietra lavica, che con la loro specifica peculiarità hanno un valore storico, antropologico e paesaggistico di grande importanza per la civiltà contadina e pastorale.
Attraenti dal punto di vista artistico, le foto sono anche importanti come documenti identificativi di una comunità, specialmente oggi che l’Etna è stata proclamata Patrimonio dell’Umanità. Soprattutto ora che in nome di un continuo e sempre crescente profitto, si assiste alla omologazione di individui, idee e cose e il paesaggio è sempre più oggetto di scempi e di un inarrestabile degrado. Soprattutto adesso quando è possibile strappare un ulivo secolare di una regione del Sud per vederlo poi magicamente comparire in qualche lussuosa villetta del Nord o magari nel verde parco del locale di ristorazione che si trova a due passi di casa nostra.
I pagghiari dell’Etna, rifugi temporanei di pastori e contadini, costruiti interamente in pietrame a secco, s’innalzano, spesso, su una pianta circolare, con una sola apertura d’accesso, che culmina in una copertura a cupola, fatta di pietre disposte a cerchi concentrici, ricordando la forma a tholos delle antiche costruzioni preistoriche. Il materiale, direttamente ricavato dall’habitat naturale come la sciara lavica, veniva adattato al tipo di costruzione da realizzare. Qualche volta il pietrame a secco, frutto di lavori di dissodamento del terreno, era utilizzato per la tipica casotta rettangolare, che sostituiva, quasi in una sorta di rustica evoluzione, l’antico pagliaio. A Bordonaro (ME) il giorno dell’Epifania si celebrava la festa del pagghiaru, che si concludeva con la realizzazione di un grande albero della cuccagna
I pagliai della piana avevano, invece, il tetto di canne come nella storica immagine, in bianco e nero, del 1910, riprodotta dal Nicolosi in Vecchie foto di Sicilia, che presenta dei contadini intorno ad un pagghiaru di contrada Pero di Paternò. Erano delle antiche capanne a pavimento nudo, come le preistoriche abitazioni sicule, con muri a secco rinforzati con fango, da cui si alzavano pali di legno che si incrociavano fino a costituire l’ossatura del tetto a forma conica. I modesti ricoveri, poi, venivano coperti con frasche, strame e ginestre. Accanto ai pagliai, a volte, erano costruite delle stalle a cielo aperto, dette mànniri (mandre o mandrie), con pietrame lavico e palizzate di legno e canne. Nel periodo neolitico esse avevano diversi recinti e meandri, quasi dei labirinti che definivano un singolo settore, funzionali all’allevamento e alla domesticazione delle varie specie di animali, riprodotti, poi, nei disegni a spirale dei graffiti preistorici.
Ogni fotografia, come ha affermato il famoso Steve McCurry, ha una storia dietro che la contraddistingue. Per questo motivo, apprezzando il singolare reportage di Roberto Fichera, i pagliai (alcuni dei quali, ormai, del tutto scomparsi, altri malamente restaurati con il riutilizzo di porte e cancelletti di ferro supportati dal cemento), architetture rurali e monumenti rupestri, unici e insostituibili documenti della nostra passata civiltà contadina, dovrebbero essere censiti e inseriti in un più ampio itinerario turistico- culturale all’interno del parco dell’Etna, diventato a buon diritto Patrimonio dell’Umanità.